Quello che si dona con amore non costa sacrificio nè aspetta ricompensa
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    La storia scritta dalle "madrine di guerra"

    di Chiara Marasca

    «Distinta signorina, resterete meravigliata nel ricevere la presente, e che persona a voi prettamente sconosciuta si accinga a scrivervi». È l'8 maggio del 1941 e inizia così la corrispondenza tra un soldato siciliano di stanza tra Sciacca e Catania e quella che diventerà la sua «madrina di guerra», una ragazza della borghesia napoletana.

    L'indirizzo della studentessa è giunto alla compagnia del marconista attraverso l'istituto superiore femminile di Napoli «Mario Pagano», da lei frequentato. Sotto il regime, infatti, istituzioni ed esercito collaborano per favorire la diffusione del «madrinaggio», relazione epistolare, spiega la storica Elena Cortesi, tra «giovani donne, non necessariamente fasciste, desiderose di partecipare individualmente e intimamente alla guerra» e loro coetanei impegnati al fronte.

    Una comunicazione che, nata con toni formali e allo scopo di alleviare la sofferenza dei soldati, è spesso sfociata, come testimoniano le lettere conservate dai protagonisti di quelle vicende, anche nella costruzione di duraturi rapporti d'amore, e di matrimonio. Come nel caso di Giovanni, in seguito attivo sindacalista della classe operaia napoletana, e Lucia Di Trapani, alla cui memoria è dedicata l'omonima fondazione fortemente voluta dai cinque figli e dai nipoti della coppia. E proprio al tema delle «Madrine di guerra» è dedicato l'incontro che si terrà oggi pomeriggio alle 16.30 presso la Sala Rari della Biblioteca Nazionale di Napoli. L'ampio sottotitolo dell'iniziativa, «Una corrispondenza tra strategie di sopravvivenza, propaganda di regime e scomode verità», ci dice qualcosa in più sull'interessante risvolto politico e sociologico del «madrinaggio».

    Inizialmente sostenuto e voluto dal regime, che mirava alla trasmissione, attraverso le lettere delle giovani donne, di messaggi inneggianti alla patria e ai valori fascisti, il fenomeno fu poi apertamente censurato dal governo, mediante controlli e sequestri delle buste negli uffici postali. Gli scambi epistolari, infatti, privi di filtri, avevano favorito la costruzione di canali di diffusione di «scomode verità», attraverso racconti sulla realtà vissuta dai soldati al fronte, in parte taciuta dagli organi di informazione ufficiali. Una rete alternativa di comunicazione, attraverso la quale i giovani sfogavano paura, angoscia, sconforto, come quando, in una cartolina del luglio del '42, Giovanni, che nel frattempo è passato a dare del «tu» a Lucia, si scusa per non poterle scrivere quella notte perché, nel posto in cui si trova, «come sai, non c'è luce ».

    Le «madrine», intanto, raccontavano tutte le difficoltà della vita nei ricoveri e sotto i bombardamenti. All'incontro di oggi, che sarà aperto dalla presidente della «Fondazione Giovanni e Lucia Di Trapani» Annamaria Di Trapani Falconio, interverranno il direttore della Biblioteca Nazionale Mauro Giancaspro, gli storici Giulio Sodano, della Seconda Università di Napoli, ed Elena Cortesi, dell'Università Alma Mater Studiorum di Bologna, autrice del libro «Reti dentro la guerra: corrispondenza postale e strategie di sopravvivenza (1940-1945)», edito da Carrocci.

    Preziosa anche la testimonianza del giornalista e scrittore Antonio Ghirelli, che, in videoconferenza da Roma, rievoca i giorni della Napoli della Seconda guerra mondiale, la città dei ricoveri e dei bombardamenti: «Ricordo che i primi tempi le ore trascorse nei ricoveri erano spesso, per noi giovani, anche piacevoli, talvolta persino leggere. Prima del '42, infatti, non ci furono veri e propri bombardamenti, poiché l'aviazione francese ed inglese si limitava ad inviare sui territori degli osservatori. A quel tempo vivevo con alcuni zii al centro di Napoli, a piazzetta Mondragone, e spesso gli allarmi, che suonavano anche tre volte nel corso di una sola notte, ci costringevano a rifugiarsi nei ricoveri. In quello che frequentavo», racconta Ghirelli anticipando la testimonianza che sarà ascoltata nel corso dell'incontro di oggi, «mi innamorai di una ragazza molto bella ed intelligente, di dieci anni più grande di me, sposata con un ufficiale che si trovava al fronte, in Jugoslavia. Nacque tra noi una bella amicizia e ricordo perfettamente quanto fosse importante, direi vitale, per suo marito, ricevere il conforto e il sostegno che lei gli inviava attraverso le lettere. Le madrine, dunque, al di là delle intenzioni della propaganda fascista, si rivelarono, per i soldati, anche più preziose della crocerossa».


    Tratto da :L'ecod'Italia

    Leggi anche l'articolo pubblicato su il Corriere del mezzogiorno